Mostra del Cinema di Venezia 2025, Orphan di László Nemes: trama e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, Orphan di László Nemes: trama e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, Orphan di László Nemes: trama e recensione del film in Concorso Photo Credit: Biennale Cinema


Ammaliante nella forma, debole e ridondante nella sostanza. Stavolta il regista non riesce a creare la giusta empatia verso il dramma umano al centro della storia

Il regista ungherese László Nemes non ha bisogno di presentazioni. Con una filmografia essenziale ma potentissima, ha saputo imporsi nel panorama del cinema d’autore grazie a due opere che affrontano con sguardo crudo e personale gli orrori della guerra. Il suo folgorante esordio, Il figlio di Saul, presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2015, gli valse il Grand Prix Speciale della Giuria, segnando fin da subito una voce autoriale capace di lasciare il segno. Il suo ultimo film, Orphan, approda alla Mostra del Cinema di Venezia direttamente in Concorso ufficiale, confermando l’attenzione che il circuito festivaliero continua a riservare al regista ungherese. Tuttavia, nonostante le aspettative e la forza del tema trattato, l’opera non riesce a centrare pienamente l’obiettivo: la narrazione, ambiziosa e visivamente curata, fatica a mantenere coerenza e profondità emotiva, lasciando lo spettatore con la sensazione di un progetto incompiuto.

ORPHAN, LA TRAMA IN BREVE

Budapest, 1957. Dopo la rivolta contro il regime comunista, il mondo di Andor, un ragazzino ebreo cresciuto dalla madre con narrazioni idealizzate sul padre defunto, viene sconvolto quando si presenta un uomo brutale che afferma di essere il suo vero padre.

ORPHAN, LA RECENSIONE

Ammaliante nella forma, debole e ridondante nella sostanza. Il film si impone fin dai primi fotogrammi per la sua straordinaria eleganza visiva, con inquadrature curate e raffinatissime. É sul piano della sostanza narrativa che la pellicola inciampa e zoppica per quasi tutto il tempo. C’è la voglia di portare in scena il punto di vista innocente di un bambino che si ritrova costretto a vivere in un tempo storico che lo obbliga ad essere adulto troppo presto. Ma il suo dramma interiore emerge sempre in modo superficiale e didascalico, senza un reale coinvolgimento emotivo. Le emozioni vengono suggerite, mai davvero esplorate; i conflitti si annunciano ma raramente esplodono; le immagini – per quanto affascinanti – sembrano spesso fini a sé stesse. Tutto contribuisce a creare un senso di déjà-vu visivo ed emotivo, in cui la bellezza dell’involucro non riesce a mascherare l’assenza di una reale progressione drammaturgica.


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