Mostra del Cinema di Venezia 2025, L’Étranger di François Ozon: trama e recensione del film in concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, L’Étranger di François Ozon: trama e recensione del film in concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, L’Étranger di François Ozon: trama e recensione del film in concorso


Una delle regie più intense viste a Venezia, trasformando il capolavoro di Camus in un’esperienza cinematografica potente, evocativa profondamente umana

Alla Mostra del Cinema di Venezia, L’Étranger di François Ozon si impone come uno degli appuntamenti più intensi e attesi. Adattare Camus è una sfida che molti hanno temuto e pochi hanno davvero affrontato con coraggio. Ozon lo fa con una sicurezza autoriale impressionante, restituendo allo spettatore la sua temperatura emotiva, il suo sguardo sull’assurdo, sull’indifferenza, sull’umano. È un film che vibra di intelligenza e sensibilità, in cui ogni scelta registica sembra pensata per aderire, in profondità, al cuore del testo. Un’opera rigorosa, ma capace di toccare corde intime, lasciando un segno che si fa via via più profondo.


L'ÉTRANGER, LA TRAMA

Algeri, 1938. Meursault, un tranquillo e modesto impiegato sulla trentina, partecipa al funerale della madre senza versare una lacrima. Il giorno dopo inizia una relazione occasionale con Marie, una collega, e torna rapidamente alla solita routine. Ben presto, però, la sua vita quotidiana è sconvolta dal vicino, Raymond Sintès, che lo trascina nei suoi loschi affari, finché su una spiaggia, in una giornata torrida, si abbatte la tragedia.


L'ÉTRANGER, LA RECENSIONE

Una trasposizione sorprendente del romanzo di Albert Camus, non solo per fedeltà narrativa, ma soprattutto per quella rara capacità di restituire l’anima stessa del testo attraverso un linguaggio filmico ricco, stratificato, pulsante. La regia di Ozon è un flusso poetico, sinuoso, che si muove tra gli spazi e i silenzi con un'eleganza che ipnotizza. Nella prima parte, il regista tiene la narrazione con il guinzaglio corto, trattenuta, come se volesse soppesare ogni sguardo, ogni respiro. Ma poi, improvvisamente, la lascia andare. E quello che accade è straordinario: la storia esplode in tutta la sua complessità emotiva, in un crescendo che porta sullo schermo la versione cinematograficamente perfetta del capolavoro di Camus. Benjamin Voisin è semplicemente magnetico. La sua interpretazione di Meursault è misurata e abissale allo stesso tempo: c’è una freddezza apparente che nasconde una voragine di inquietudine, una distanza emotiva che diventa presenza scenica assoluta. Ogni suo gesto, ogni parola pronunciata (o non detta) racconta una verità scomoda, nuda, profondamente umana. Un lavoro di tale intensità e precisione attoriale meriterebbe a pieno titolo la Coppa Volpi. L’uso del bianco e nero è sublime, mai gratuito, sempre narrativo. La fotografia, firmata da Manu Dacosse, ha un potere evocativo raro: la luce che brucia sulla pelle, le ombre che accarezzano i volti, il mare che sembra una distesa d’inquietudine. Ogni inquadratura è un quadro vivo, che respira con il personaggio e con lo spettatore. Si raccontano le emozioni con una complessità che non ha bisogno di spiegazioni, ma si affida a ciò che il cinema sa fare meglio: mostrare, suggerire, evocare. L’alienazione, l’assurdità dell’esistenza, il peso del giudizio, la colpa, la verità e la sua mancanza. Tutto passa attraverso un uso magistrale delle immagini, dei tempi, delle pause. È uno dei momenti più alti visti finora qui a Venezia. Un film che osa, che colpisce, che resta addosso. E che conferma François Ozon come uno dei grandi autori europei contemporanei.


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