Mostra del Cinema di Venezia 2025, Frankenstein di Guillermo Del Toro: trama, cast e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, Frankenstein di Guillermo Del Toro: trama, cast e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, Frankenstein di Guillermo Del Toro: trama, cast e recensione del film in Concorso


La pellicola conferma l'abilità del regista nel creare universi visivi straordinari. La sua capacità di mescolare il gotico con l'immaginario fantastico raggiunge un nuovo livello di perfezione

Guillermo del Toro è tornato in Laguna, portando con sé la sua nuova visione di Frankenstein, presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023. Dopo aver trionfato con il Leone d'Oro per La forma dell'acqua, il regista messicano punta a replicare il successo, offrendo una rivisitazione unica e straordinariamente visiva del classico di Mary Shelley. Con il suo approccio che mescola il gotico con tematiche universali, l’autore sembra pronto a conquistare nuovamente il cuore del pubblico e della giuria, proponendo una riflessione profonda sulla creazione, la mostruosità e la responsabilità.

FRANKENSTEIN, LA TRAMA

Pur mantenendo le linee fondamentali della storia di Victor Frankenstein – uno scienziato brillante ma egocentrico che dà vita a una creatura attraverso un esperimento mostruoso – il regista trasforma questa tragedia in una riflessione complessa sul potere della conoscenza, sulla responsabilità morale e sulle conseguenze devastanti della disconnessione tra il creatore e la sua creazione. Victor Frankenstein, nell’interpretazione di del Toro, non è solo un uomo consumato dalla brama di superare i limiti della scienza e della natura, ma una figura che incarna l'arroganza della modernità, quella convinzione che la scienza possa risolvere ogni problema, fino ad arrivare a manipolare la vita stessa. Il suo intento di sfidare la morte e di ridare vita alla carne morta lo spinge a un’ossessione che lo isola non solo dagli altri esseri umani, ma anche dalla sua stessa umanità. La sua visione del mondo, centrata sull'idea di dominio e controllo, lo porta inevitabilmente alla creazione di un mostro: una creatura fatta di pezzi di corpi, senza anima, senza storia, ma al contempo portatrice di una profonda conoscenza e di un dolore che travalicano la sua forma. Questa creazione, che inizialmente potrebbe sembrare il risultato di un esperimento scientifico, diventa in realtà una manifestazione dei limiti morali della scienza stessa. Frankenstein non è solo un uomo che ha sfidato la morte, ma un uomo che ha creato un essere senziente e consapevole, per il quale non ha mai previsto una responsabilità. La rovina di Victor, come della sua creazione, non è una mera questione di morte o di fallimento scientifico, ma di caduta morale e psicologica. La sua vita si spezza sotto il peso di una solitudine che ha costruito da sé, allontanandosi sempre più da ciò che lo rendeva umano: l’empatia, la capacità di sentire e di comprendere. La sua creazione è il riflesso di un vuoto, di un fallimento esistenziale. La sua fine non è solo fisica, ma rappresenta la disintegrazione di un uomo che, nell'inseguire la propria grandezza, ha distrutto ogni connessione con il mondo che lo circonda.

FRANKENSTEIN, LA RECENSIONE

La pellicola conferma l'abilità di Del Toro nel creare universi visivi straordinari. La sua capacità di mescolare il gotico con l'immaginario fantastico raggiunge un nuovo livello di perfezione. La fotografia è mozzafiato: scure, cupe e sognanti le atmosfere in cui i colori sembrano vividi solo quando emergono dal buio, simbolo di speranza o di un nuovo inizio. Le ombre giocano un ruolo centrale, e l'uso della luce è sempre funzionale a enfatizzare la lotta tra l'oscurità e la rivelazione. Le scenografie sono, come ci si aspetta da Del Toro, un trionfo di dettagli. Ogni ambiente è ricco di texture, spazi angusti che riflettono l'inquietudine dei protagonisti, ma anche l'immensità di un mondo che li sovrasta. Le costruzioni architettoniche sono barocche, gotiche, magnificamente decadenti. C'è un senso di pesantezza, di solennità, come se l'intero mondo fosse pregno di una storia antica e segreta che urla d'essere raccontata. È un film che respira attraverso i suoi ambienti, in cui ogni angolo sembra portare con sé un'emozione nascosta. I costumi, curati nei minimi dettagli, sono un altro punto di forza: dalle vesti sdrucite della creatura di Frankenstein, simbolo della sua sofferenza e della sua estraneità, agli eleganti ma inquietanti abiti dei personaggi umani, che sembrano rispecchiare la lotta interiore tra ragione e follia, civiltà e barbarie. Ogni tessuto sembra avere una vita propria, un significato intrinseco che arricchisce ulteriormente il messaggio del film. E poi ci sono gli effetti visivi, che sono la vera magia di Del Toro. Il mostro non è mai solo ciò che appare. È ciò che non vogliamo guardare, ciò che ci spaventa perché ci costringe a fare i conti con noi stessi. Il film é un invito a riconoscere che, seppur segnati dalla sofferenza, possiamo trovare nella nostra umanità comune la chiave per superare le barriere della paura e dell’incomprensione. La pellicola non racconta solo una storia di mostri e creatori, ma intesse una riflessione profonda e vibrante sul corpo, inteso come veicolo di conoscenza, sofferenza e trasformazione. Il corpo, in questa versione del mito, non è un semplice contenitore di carne e ossa, ma un portatore di storie, di memorie e di conflitti, un oggetto di lavoro e sfruttamento che, attraverso la deformazione e la mutilazione, diventa specchio di un mondo che utilizza, consuma e respinge.

Ma quello che colpisce di più di Frankenstein è il messaggio che la creatura, in fondo, non è mai il vero mostro. Il mostro è il pregiudizio, la paura dell'altro, l'incapacità di accogliere e comprendere. Il film suggerisce che, attraverso il dialogo e la conoscenza reciproca, si può abbattere qualsiasi tipo di barriera e di mostro, anche quello che risiede dentro di noi. Il mostro, alla fine, è solo un riflesso delle nostre insicurezze, delle nostre paure, della nostra incapacità di vedere l'umanità che ci accomuna. In un'epoca in cui le divisioni sembrano acuirsi, Frankenstein di Guillermo Del Toro diventa non solo una riflessione sul mito, ma un invito a superare le nostre paure più profonde, a non temere chi è diverso, e a cercare la bellezza anche in ciò che inizialmente ci sembra orribile. È un'opera straordinaria che, attraverso il suo linguaggio visivo ricco di simbolismi, ci racconta che il vero mostro forse non esiste. O meglio, esiste solo finché non siamo disposti ad affrontarlo.


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