Italia-Svezia, una marea di ricordi e un sacco di rimpianti

Italia-Svezia, una marea di ricordi e un sacco di rimpianti

Italia-Svezia, una marea di ricordi e un sacco di rimpianti


L'analisi di Fulvio Giuliani

Alla fine, è successo. Il Mondiale ce lo vedremo in Tv, come sempre, ma sarà quello degli altri. Niente riunioni, niente passione, niente bancarelle con le bandiere e le trombette, niente attesa e niente processi. Le mamme dovranno cercarsi un'altra scusa, per organizzare una bella riunione di famiglia, perché ci godremo le imprese dei fenomeni tedeschi o brasiliani, ma il sogno di sovvertire ancora una volta il pronostico ci è stato rubato. Lo sfizio supremo di far vedere al mondo che, per vincere, si deve prima passare da noi. Non sono un ingenuo, sono anni che non rappresentiamo più molto ai massimi livelli, ma solo 18 mesi fa si era sfiorato il colpaccio, contro i Campioni del Mondo. Per tutti e da sempre, affrontare e battere l'Italia è una consacrazione. Era, chiedo scusa. Il gruppo di giocatori e il loro livello – scarsino, in verità – quello era e quello è rimasto.
Una classe dirigente impresentabile, una guida tecnica inadeguata, hanno distrutto il nostro nome e il movimento calcistico azzurro. Ci hanno riportati all'anno zero, inanellando una serie impressionante di errori. Ventura fu una scelta folle e, dai microfoni di Rtl 102.5 e via social, l'ho sempre detto, assumendomene la responsabilità. Mi scuso dell'autocitazione, ma va pur ricordato che un bel pezzo di mondo giornalistico sportivo ha favoleggiato a lungo di un tecnico moderno, se non addirittura rivoluzionario, per aver schierato tre punte, contro formazioni di dopolavoristi e dilettanti. Poi, arrivò la Spagna, cioè la realtà, e il bluff di Ventura fu scoperto. Un tecnico modesto, abituato a palcoscenici di periferia, premiato oltre ogni logica, con la panchina della squadra che ogni due anni ha l'onore e l'onere di rappresentarci tutti. Soprattutto quelli che non sono della parrocchia, che non vivono di pallone, ma che ai Mondiali e agli Europei chiedono un momento da vivere insieme. Un'emozione da condividere.

La caratura umana dei personaggi è venuta fuori impietosamente ieri sera: Ventura è fuggito, lasciando Buffon alle sue lacrime e all'esigenza di chiedere scusa. Non c'è nulla di più sconfortante di un comandante che abbandona per primo il campo di battaglia. Puoi essere scarso e sfortunato, ma non hai il diritto di essere pavido.

Tavecchio, se possibile, ha fatto peggio: si è preso le 48 ore. Quando bastavano 48 secondi e due parole: "Mi dimetto". Ci sono illustri precedenti: Prandelli e Abete al mondale brasiliano del 2014. Evidentemente, questo piccolo presidente di una piccolissima e arcaica federazione ha preferito rifarsi a certi personaggi italici, incapaci in tutto, se non nell'arte del riciclo. Di se stessi.Ci restano, così, una marea di ricordi e un sacco di rimpianti. Tutto ci saremmo aspettati, però, tranne che trovarci ancora - dopo la notte di tregenda di San Siro - Ventura e Tavecchio.


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