Via D’Amelio, 33 anni dopo l’Italia non dimentica: Paolo Borsellino e i 5 agenti della scorta eroi che vivono nel ricordo

Via D’Amelio, 33 anni dopo l’Italia non dimentica: Paolo Borsellino e i 5 agenti della scorta eroi che vivono nel ricordo

Via D’Amelio, 33 anni dopo l’Italia non dimentica: Paolo Borsellino e i 5 agenti della scorta eroi che vivono nel ricordo Photo Credit: agenziafotogramma.it


Una strage mafiosa ma la verità è ancora lontana. Il Capo dello Stato Mattarella: “Un segno indelebile nella storia del Paese”. La premier Meloni: “Un sacrificio per la giustizia”. Il presidente della Camera Fontana: “Un esempio di coraggio e determinazione”

Erano passati 57 giorni dalla strage di Capaci, dalla morte del giudice Giovanni Falcone quando, il 19 luglio 1992, un'auto con decine di chili di tritolo esplose in via D'Amelio a Palermo, uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Oggi si muovono tra memoria, impegno e ricerca della verità, ancora lontana, le iniziative organizzate da associazioni, movimenti e istituzioni per il 33esimo anniversario della strage. Ed è vastissimo il programma che vedrà coinvolti i luoghi simbolo della vita del magistrato, così come il panorama delle dichiarazioni.

Mattarella

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella parla di 'un segno indelebile per l'Italia', perché “Paolo Borsellino ha impartito una lezione di dignità e legalità, il cui messaggio deve raggiungere le generazioni più giovani”. E il ricordo del giudice è anche nelle parole della premier Giorgia Meloni, che rende omaggio ad un 'un uomo che ha sacrificato la sua vita per la verità, per la giustizia, per l'Italia. Per questo il Paese non dimentica”. Da parte sua il Presidente del Senato Ignazio La Russa qualifica l’eccidio come “una ferita collettiva ancora aperta”, mentre il presidente della Camera Lorenzo Fontana definisce Borsellino “un esempio di coraggio e determinazione”. E proprio a Montecitorio si trova esposta in Transatlantico la borsa che il magistrato, amico e collega di Giovanni Falcone, aveva con sé anche in quel 19 luglio 1992.

La verità

Sullo sfondo una verità che resta sempre lontana. Le inchieste e diversi filoni processuali non sono finora riusciti a illuminare un cono d'ombra che i giudici hanno descritto come "il più grande depistaggio della storia d'Italia" riguardo alla strage in cui sono morti il procuratore aggiunto a Palermo Paolo Borsellino e i poliziotti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Il braccio militare era quello della mafia ma c'era una regia che inquinava le prove e muoveva le sue pedine attraverso la "partecipazione morale e materiale di altri soggetti" e di "gruppi di potere interessati all'eliminazione" di Paolo Borsellino. Questo si legge nella sentenza sul depistaggio con la quale il 12 luglio 2022 sono stati prescritti due investigatori della polizia - Mario Bo e Fabrizio Mattei - accusati di favoreggiamento, e assolto un terzo, Michele Ribaudo. Altri quattro poliziotti - Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli - sono sotto processo. Tra silenzi e "non ricordo" avrebbero detto il falso deponendo come testi. Bo, Mattei e Ribaudo facevano parte della squadra che indagava sulle stragi Falcone e Borsellino. Il pool era guidato da Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo e uomo dei servizi segreti, ed era coordinato dal procuratore Giovanni Tinebra. È proprio il gruppo che aveva creato il falso pentito Vincenzo Scarantino, piccolo malavitoso di borgata, e lo avrebbe indotto a lanciare accuse totalmente inventate. Sette persone furono condannate all'ergastolo e poi scagionate quando il vero pentito Gaspare Spatuzza ricostruì un diverso scenario della strage.

I Servizi

Un'altra ombra sulle indagini è stata proiettata ancora dai Servizi segreti che misero le mani sulla borsa in cui Borsellino teneva un'agenda rossa nella quale annotava i suoi spunti d'inchiesta. L'agenda non è stata più ritrovata: le sue tracce sono state cercate ora dalla Procura di Caltanissetta in casa di La Barbera e in quelle utilizzate da Tinebra, entrambi morti. La sparizione dell'agenda, sostengono i giudici nisseni, avrebbe originato l'aspetto più simbolico di una "verità nascosta o meglio non completamente disvelata". Intanto si è riaperto, con riflessi fragorosi, il capitolo del rapporto del Ros su "mafia e appalti". L'ex capo del Ros, Mario Mori, e il suo collaboratore Giuseppe De Donno hanno sostenuto, anche con varie audizioni davanti alla Commissione antimafia, che il rapporto indicava una delle possibili piste da seguire per la strage di via d'Amelio. Borsellino se ne sarebbe interessato ma il caso sarebbe stato subito archiviato dalla Procura di Palermo guidata, all'epoca, da Pietro Giammanco. Attorno a questa tesi, condivisa dalla famiglia Borsellino, si muove adesso la Procura di Caltanissetta che ha aperto un'inchiesta sugli ex pm Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli e sul generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. Non avrebbero valorizzato, dice l'accusa, alcune intercettazioni che, dopo essere state a suo tempo archiviate per essere distrutte, sono state ritrovate negli archivi impolverati.



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