Trump ribattezza il Pentagono "Dipartimento della Guerra" e annuncia pressioni sul Venezuela

Trump ribattezza il Pentagono "Dipartimento della Guerra" e annuncia pressioni sul Venezuela Photo Credit: Ansa Foto/Francis Chung
06 settembre 2025, ore 09:00 , agg. alle 09:28
Dallo Studio Ovale, Trump rilancia lo stop al conflitto in Ucraina, avvertimenti a Hamas e Maduro, F-35 a Porto Rico e il G20 del 2026 a Miami nel suo resort di Doral
Donald Trump è tornato a dettare la linea su politica estera e difesa, trasformando una conferenza nello Studio Ovale in una raffica di annunci che spaziano dall’Ucraina all’America Latina, passando per Gaza e fino al futuro del G20. Tra dichiarazioni provocatorie e promesse di sostegno, il presidente americano ha mostrato ancora una volta la sua cifra: quella di non temere scelte controcorrente.
LA GUERRA IN UCRAINA
Sul fronte ucraino, il leader repubblicano ha ribadito con forza che la guerra deve finire al più presto, definendola “una vergogna” e garantendo che gli Stati Uniti lavoreranno per trovare un’intesa diplomatica. Ha assicurato a Kiev che potrà contare su garanzie di sicurezza da parte americana, ma ha anche sottolineato che i Paesi europei saranno “in prima linea” nel sostegno, perché – a suo dire – “vogliono essere protagonisti e vogliono vedere il conflitto chiuso”. Trump non ha nascosto che immaginava un percorso negoziale più semplice, ma si è detto fiducioso sulla possibilità di arrivare a un accordo.
DA DIPARTIMENTO DELLA DIFESA A QUELLO DELLA GUERRA
Il passaggio che più ha colpito è stato però l’ordine esecutivo con cui ha deciso di rinominare il Pentagono: non più Dipartimento della Difesa, ma Dipartimento della Guerra. Una scelta che il presidente ha spiegato come “un messaggio di forza” e una presa di distanza da un linguaggio che considera “troppo politicamente corretto”. Pochi minuti dopo la firma, il sito ufficiale era già aggiornato con il nuovo dominio “war.gov”, mentre le immagini delle televisioni americane mostravano gli operai al lavoro per sostituire le insegne all’ingresso del quartier generale in Virginia. Trump ha anche rivendicato di aver messo fine a “sette conflitti in sette mesi” utilizzando una combinazione di pressione economica e forza militare. Molti hanno letto nelle sue parole un riferimento implicito alle cause in corso alla Corte Suprema, che dovrà decidere sulla legittimità dei dazi imposti senza l’approvazione del Congresso.
I CACCIA F-35 A PORTO RICO E IL MEDIO ORIENTE
Ma non c’è solo l’Europa nell’agenda del presidente. Negli ultimi giorni ha ordinato l’invio di dieci caccia F-35 a Porto Rico, con l’obiettivo di rafforzare la lotta ai cartelli della droga e, al tempo stesso, aumentare la pressione sul governo venezuelano di Nicolas Maduro, accusato da Washington di legami diretti con le organizzazioni criminali. Le tensioni nell’area sono altissime: gli Stati Uniti hanno colpito un’imbarcazione con undici sospetti narcotrafficanti venezuelani, mentre il Pentagono denuncia sorvoli provocatori da parte di caccia di Caracas su navi americane in acque internazionali. Trump è stato netto: se aerei venezuelani minacceranno ancora le forze Usa, “saranno abbattuti”. Un capitolo è stato dedicato anche alla situazione in Medio Oriente. Rivolgendosi ad Hamas, il presidente ha detto che “se non rilasceranno tutti gli ostaggi israeliani, se la vedranno molto brutta”. Ha però aggiunto che i negoziati sarebbero “in fase avanzata”.
IL G20 DEL 2026 A MIAMI
Non sono mancati i riferimenti a episodi del passato. Alla domanda sulla presunta missione segreta dei Navy Seals in Corea del Nord nel 2019, volta a installare strumenti di spionaggio contro Kim Jong Un, Trump ha risposto di “non sapere nulla”. Infine, uno sguardo al futuro: il presidente ha annunciato che il G20 del prossimo anno si svolgerà a Miami, nel suo golf club di Doral. Una decisione che riporta il vertice in territorio americano dopo vent’anni e che rievoca la polemica del 2020, quando aveva tentato di ospitare il G7 nello stesso luogo. Sul fronte diplomatico, Trump non ha escluso la possibilità di invitare Vladimir Putin e Xi Jinping come osservatori: “Mi piacerebbe che venissero – ha detto – ma non so se vorranno farlo”. Un mix di scelte simboliche, promesse militari e aperture diplomatiche che, ancora una volta, mettono Trump al centro del dibattito internazionale.