Stati Uniti, emoji citate come prove in tribunale

Stati Uniti, emoji citate come prove in tribunale

Stati Uniti, emoji citate come prove in tribunale


Secondo una ricerca universitaria c’è stata una crescita esponenziale dal 2004 ad oggi

Dagli Stati Uniti arriva una ricerca secondo cui le emoji e le loro antenate emoticon stanno diventando sempre di più protagoniste dei processi, usate da accusa e difesa per dimostrare le proprie tesi. Lo rileva Eric Goldman, un esperto dell'università di Santa Clara, che ha notato una crescita esponenziale dal 2004 ad oggi. Al punto che gli stessi tribunali vengono spesso colti impreparati. Il ricercatore ha fatto un monitoraggio su alcuni database sull'uso della parola emoji o emoticon nelle cause. In un caso ad esempio gli investigatori stavano cercando di provare che un uomo fosse responsabile di sfruttamento della prostituzione e hanno usato tra le prove anche una chat in cui l'accusato inviava ad una donna l'immagine di tacchi a spillo e di una valigia piena di soldi. Secondo l'avvocato difensore era solo un tentativo di interrompere la relazione con la donna. Altri esempi riguardano ogni tipo di crimine, riferisce Goldman, dall'omicidio al furto, ma in molti casi le corti non considerano le faccine come prove ammissibili. "Appaiono come prove, le corti devono prenderne atto, ma sono spesso considerate irrilevanti dai giudici” spiega l'esperto. “Ma sono una parte cruciale della conversazione e devono essere comprese e non ignorate”. La questione non riguarda soltanto gli Usa. In Israele, ad esempio, un giudice ha condannato una coppia a pagare un soggiorno in un albergo perché secondo lui gli emoticon festosi inviati alla struttura valevano come conferma della prenotazione.​


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