Mostra del Cinema di Venezia 2025, The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania : trama e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania : trama e recensione del film in Concorso
03 settembre 2025, ore 16:45
La regista sceglie una storia reale, concreta, brutale. Hind Rajab, sei anni, chiusa in un’auto con la sua famiglia a Gaza, mentre fuori si avvicinano i carri armati israeliani
Nel buio della sala non c’è stato sollievo, nessuna catarsi. Solo un silenzio denso, trattenuto, come se mancasse l’aria. Poi le lacrime e gli applausi che non accennavano a finire. Ma non era semplice commozione. Era qualcosa di più profondo: forse smarrimento, senso di urgenza e responsabilità. Di fronte a The Voice of Hind Rajab, il pubblico ha capito subito che non stava semplicemente guardando un film, ma entrando in un territorio fragile, dove tutto ciò che normalmente resta ai margini, ciò che non si mostra, ciò che si rimuove o si dimentica, viene portato al centro con forza e chiarezza. Non era più questione di assistere, ma di riconoscere. E da quel momento in poi, distogliere lo sguardo non era piùpossibile.
THE VOICE OF HIND RAJAB, LA TRAMA
Kaouther Ben Hania sceglie una storia reale, concreta, brutale. Hind Rajab, sei anni, chiusa in un’auto con la sua famiglia a Gaza, mentre fuori si avvicinano i carri armati israeliani. Chiama i soccorsi. Rimane al telefono per quasi un’ora. Poi il silenzio. È una registrazione che circola, è una notizia che si è consumata in poche ore nei feed di mezzo mondo. Ma Ben Hania la trasforma in un dispositivo narrativo, sensoriale, etico. La narrazione, che si sviluppa in poco più di un’ora e mezza, si avvale degli audio originali delle telefonate tra la piccola Hind e i soccorritori. Anche gli attori chiamati a interpretare gli uomini della Mezzaluna Rossa hanno ascoltato quelle registrazioni solo al loro arrivo sul set, lasciandosi travolgere da emozioni autentiche che da quel momento hanno smesso di essere finte.
THE VOICE OF HIND RAJAB, LA RECENSIONE
Il film non si limita a ricostruire, ma interroga profondamente il nostro modo di vedere, raccontare e concepire la realtà. Si muove in uno spazio narrativo liminale, dove ciò che viene mostrato sullo schermo pesa meno di ciò che rimane nascosto. È l’invisibile, l’indicibile, a diventare il vero protagonista dell’opera. Il terrore non assume un volto, la morte non viene spettacolarizzata; al contrario, è l’attesa a essere raccontata nella sua dimensione più cruda: interminabile, logorante, quasi assordante nella sua silenziosa intensità. Il suono diventa protagonista: il respiro della bambina, il rumore del telefono, le voci dall’altro capo della linea. Ma soprattutto, il silenzio. Un silenzio che non consola, che non permette tregua. È il silenzio dell’abbandono, del disinteresse, della distanza. E lo spettatore, costretto a rimanere dentro questa sospensione, inizia a comprendere qualcosa che le immagini di guerra tradizionali, iper-visive e iper-violente, raramente riescono a trasmettere. Nel cinema tradizionale, specialmente nei War movie, si tende a mostrare tutto, spesso per suscitare una reazione immediata e forte. Qui invece Kaouther Ben Hania lavora al contrario: elimina l’immagine diretta, lasciando che siano il silenzio, i vuoti e l’assenza stessa a riempire lo schermo. Questo procedimento non impoverisce la narrazione, anzi, la arricchisce profondamente. La mancanza diventa presenza, il non detto prende corpo, e ciò che non vediamo si fa carico di un peso emotivo e cognitivo maggiore. Lo spettatore non è più un semplice osservatore passivo, ma viene coinvolto in un processo attivo di costruzione del significato, chiamato a riempire con la propria immaginazione e sensibilità quegli spazi vuoti. Ben Hania intreccia materiali reali e finzione con una lucidità rara. L’uso della ricostruzione non ha nulla di mimetico o illustrativo: serve invece a porre delle domande sul nostro rapporto con la verità. Dove finisce il documento? Dove comincia la messa in scena? È una riflessione che attraversa anche altri titoli del concorso, ma qui raggiunge un livello di chiarezza e complessità che colpisce per la sua coerenza interna. The Voice of Hind Rajab non è solo un film da premiare. È un’opera da custodire, da rivedere, da studiare. Non soltanto per il coraggio di ciò che mette in scena, ma per la forza con cui ci costringe a interrogarci su come guardiamo e su cosa scegliamo di ignorare. Il compito dello spettatore non si esaurisce nel momento in cui si esce dalla sala. Non si tratta di dimenticare o lasciar andare ciò che si è visto, ma di portare con sé quel peso, quel macigno che il film lascia dentro. Un peso che reclama attenzione, che sollecita una coscienza vigile e una responsabilità che non può essere elusa o rimandata. Un richiamo urgente a guardare con occhi nuovi, a sentire con maggiore profondità, a non voltarsi mai dall’altra parte. Perché a volte il silenzio racconta più di mille parole, e la vera responsabilità nasce proprio dal coraggio di ascoltarlo.