Mostra del Cinema di Venezia 2025, The smashing machine di Benny Safdie: trama e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, The smashing machine di Benny Safdie: trama e recensione del film in Concorso
01 settembre 2025, ore 19:05
Ispirato a una storia vera intensa e sconvolgente racconta la straordinaria parabola di Mark Kerr, uno degli atleti più dominanti e complessi che il mondo degli sport
É arrivata una bella sorpresa qui al Lido di Venezia. Non c’erano grandi aspettative attorno a The Smashing machine, il film in Concorso diretto Benny Safdie che vede come protagonisti Dwayne Johnson, Emily Blunt. Ma la pellicola, con il suo tono dolce, è riuscita ad arrivare dritta al cuore.
THE SMASHING MACHINE, LA TRAMA
Ispirato a una storia vera intensa e sconvolgente, The Smashing Machine racconta la straordinaria parabola di Mark Kerr, uno degli atleti più dominanti e complessi che il mondo degli sport da combattimento abbia mai conosciuto. Campione di lotta libera, pioniere del Vale Tudo e delle prime competizioni di MMA, Kerr è stato una forza della natura capace di ridefinire i limiti fisici e mentali del combattimento. Ma dietro l’immagine del lottatore invincibile si nascondeva un uomo tormentato, diviso tra la gloria pubblica e un dolore privato sempre più difficile da gestire. La sua carriera, costellata di vittorie leggendarie e cadute dolorose, lo ha reso una figura tragica e affascinante, recentemente riconosciuta con l’ingresso nella prestigiosa UFC Hall of Fame. The Smashing Machine non è solo il racconto di un atleta fuori dal comune, ma il ritratto crudo e toccante di un uomo alla ricerca disperata di se stesso.
THE SMASHING MACHINE, LA RECENSIONE
Si rimane sorpresi dalla capacità della pellicola di trasformare una storia di violenza e battaglia in un inno dolce e profondo alla sconfitta. In un'epoca ossessionata dalla vittoria a tutti i costi, dal consenso e dal successo immediato, il film ci invita a riflettere su quanto sia invece utile, e persino necessario, perdere. La vera storia di Mark Kerr, un lottatore di arti marziali miste, ci mostra che, in un mondo che celebra la perfezione e la trionfante ascesa, è nella sconfitta che spesso si nasconde la chiave per una crescita più autentica. Il film non si limita a raccontare la carriera di un atleta: prova a mettere in scena un messaggio più profondo, sfidando la nostra visione contemporanea del successo. La sconfitta, che nel contesto di molte storie sportive è considerata un fallimento, qui diventa una forma di redenzione, di riflessione, e soprattutto di umanità. Marc Kerr, con le sue cicatrici fisiche e interiori, non è solo un uomo che perde nel ring, ma è anche una persona che si ritrova e si ricostruisce attraverso ogni sconfitta. La pellicola alterna scene di lotta cruda e viscerale, con momenti di silenzio, sguardi, crolli emotivi. Girato con quel linguaggio visivo tipico del cinema documentaristico – grezzo, essenziale, a tratti persino ruvido – che rinuncia all’artificio per andare dritto al cuore della realtà. Un’estetica ‘sporca’, volutamente non levigata, scelta non per caso, ma per restituire autenticità, per avvicinarsi il più possibile a una verità nuda, non mediata. Si percepisce una verità rara nel racconto di un uomo che, una volta sceso dal ring, si ritrova a combattere i fantasmi che pensava di aver lasciato fuori dalla gabbia. La narrazione ci ricorda che anche gli eroi sanguinano come tutti gli altri, che anche chi sembra indistruttibile può essere vulnerabile, e che la vera forza si misura nella capacità di affrontare il dolore, non solo nel colpirlo. In un’epoca che celebra l’invulnerabilità come virtù e il trionfo come unica narrazione possibile, questo film ci ricorda che esiste una forza più silenziosa, ma infinitamente più vera: quella di chi cade e trova nella caduta non la fine, ma l’inizio di una nuova consapevolezza. La storia di Mark Kerr non è soltanto quella di un lottatore, ma di un uomo che impara a convivere con le sue ferite senza vergognarsene. In questo racconto dolcissimo, caldo e profondamente umano, la sconfitta non è un inciampo, ma un passaggio necessario verso una forma di verità che pochi hanno il coraggio di guardare in faccia. Ed è proprio lì, nella resa senza spettacolo, che il film trova la sua voce più potente.