Mostra del Cinema di Venezia 2025, Nühai (Girl) di Shu Gì: trama e recensione del film in Concorso

Mostra del Cinema di Venezia 2025, Nühai (Girl) di Shu Gì: trama e recensione del film in Concorso Photo Credit: Biennale Cinema
04 settembre 2025, ore 17:16
Dal punto di vista visivo, la pellicola mostra una certa coerenza stilistica, ma nel complesso appare statico, poco incisivo
Con Nühai (Girl), la regista Shu Gì, la musa prediletta di Andrew Lau, tenta per la prima volta di mettersi dietro la macchina da presa, abbandonando temporaneamente il ruolo di attrice per esplorare quello, ben più esigente, della regista. Il risultato, però, è un debutto che non riesce a lasciare il segno, oscillando tra intenzioni interessanti e una realizzazione che si rifiuta di rischiare.
NUHAI (GIRL), LA TRAMA
Una ragazzina trova conforto nell’amicizia con un’altra bambina con un nome simile, che incarna i sogni che lei ha represso. Le sue aspirazioni, però, sono messe alla prova dal passato della madre, che riflette le sue stesse difficoltà e la intrappola in un circolo vizioso di disperazione.
NUHAI (GIRL), LA RECENSIONE
Dal punto di vista visivo, Nühai mostra una certa coerenza stilistica: l’uso della luce naturale, l’inquadratura statica, la predilezione per ambienti disadorni e silenzi eloquenti rivelano una regista attenta, ma forse ancora troppo legata a modelli già visti. Alcune scelte estetiche, benché raffinate, finiscono per appesantire il ritmo, rendendo il film piuttosto uniforme e privo di dinamismo. Non mancano, comunque, spunti promettenti come alcuni frammenti, soprattutto nei silenzi tra i dialoghi che lasciano intravedere una sensibilità che meriterebbe di essere meglio coltivata. Ma nel complesso Nühai appare statico, poco incisivo e, soprattutto, incompiuto. Un’opera prima che, purtroppo, non riesce ancora a trovare una voce davvero propria. La scelta di cimentarsi con la regia di questa pellicola nasce non solo da un interesse artistico, ma soprattutto da ragioni biografiche profonde, radicate nel vissuto personale della regista. Si avverte, infatti, un forte legame emotivo con la materia trattata, un desiderio sincero di raccontare qualcosa che le appartiene intimamente, che l’ha toccata da vicino e che, proprio per questo, rappresenta una sorta di necessità espressiva. Proprio in presenza di un coinvolgimento così intenso, si sarebbe potuto e forse dovuto osare di più. Proprio perché la storia nasce da una spinta autentica, personale, ci si sarebbe potuti aspettare una visione più autonoma, una poetica più marcata, un linguaggio registico capace di riflettere una voce davvero singolare. Invece, in diversi momenti, sembra prevalere un approccio più cauto, quasi trattenuto, come se la volontà di rendere giustizia al proprio vissuto avesse finito per imbrigliare la libertà creativa. Persino l’errore avrebbe potuto rappresentare un elemento di valore: un gesto coraggioso, capace di restituire la verità della visione attraverso una forma magari imperfetta, ma viva, autentica. Una regia più audace, più personale, avrebbe probabilmente dato maggiore spessore all’opera, elevandola da semplice trasposizione narrativa a vera espressione d’autore. Ad ogni modo il talento c’è, silenzioso e sotterraneo e lascia intravedere possibilità. Il vero salto, forse, verrà quando avrà il coraggio di abbandonare i modelli e rischiare qualcosa di più suo.