Mostra del Cinema 2025, Jay Kelly di Noah Baumbach: trama e recensione del film in concorso

Mostra del Cinema 2025, Jay Kelly di Noah Baumbach: trama e recensione del film in concorso
28 agosto 2025, ore 21:45
George Clooney mette in scena il confine tra realtà e finzione in un viaggio dentro se stessi
Si scrive Jay Kelly ma si pronuncia George Clooney. In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film diretto da Noah Baumbach si presenta come un’intensa riflessione sul confine sottile tra realtà e finzione, identità e ruolo, vita e cinema. Un racconto intenso e coinvolgente, che solleva domande profonde sul senso dell’essere oggi e sul potere della settima arte nel plasmare il nostro sguardo sul mondo.
JAY KELLY, LA TRAMA
La pellicola segue il famoso attore cinematografico Jay Kelly e il suo devoto manager Ron in un vorticoso viaggio di inattesa profondità attraverso l’Europa. Lungo la strada sono entrambi costretti a fare i conti con le scelte che hanno fatto, i rapporti con i loro cari e con ciò che lasceranno alle generazioni future. Jay Kelly indaga cosa significa essere se stessi e cosa rende una vita speciale.
JAY KELLY, LA RECENSIONE
George Clooney torna sul grande schermo con un ruolo intenso e misurato, ma a dirigere questa riflessione elegante e stratificata è Noah Baumbach, che costruisce un film intimo e meta-cinematografico, capace di interrogare in profondità il rapporto tra cinema e vita. La domanda che attraversa tutta l’opera è tanto semplice quanto disarmante: dove finisce la finzione e dove comincia la vita? O forse, più radicalmente: è ancora possibile distinguerle? Il film si muove su un piano sottile, quasi impercettibile, dove la realtà — fatta di ricordi, affetti, perdite e gesti quotidiani — si insinua nella costruzione narrativa, contaminandola fino a confonderne i confini. Ma non lo fa con irruenza: lo fa in silenzio, come un'infiltrazione emotiva. Così, lo spettatore si ritrova progressivamente disorientato: ciò che vede è un ricordo o una scena? È emozione autentica o performance controllata? Il protagonista, interpretato da uno Clooney sobrio e malinconico, è un uomo che guarda alla propria esistenza attraverso lo sguardo deformante del cinema, come se ogni frammento della sua vita fosse già stato montato, tagliato, musicato. Baumbach racconta tutto questo come un flusso: passato e presente, realtà e finzione, convivono senza soluzione di continuità. E il punto di vista rimane sospeso: chi sta davvero raccontando questa storia? Il risultato è un’opera che non cerca di dare risposte, ma che pone domande profonde e necessarie: possiamo ancora vivere fuori dall’immagine? Esiste un "io" che non sia filtrato da ciò che la settima arte ci ha insegnato a essere, desiderare, imitare?
Nel film c’è spazio anche per l’Italia, rappresentata come una cartolina degli anni ’80: immobile nel tempo e un po’ stereotipata. Questa scelta sembra voler privilegiare l’immaginario cinematografico a cui siamo abituati quando pensiamo al Paese sul grande schermo, più che il realismo contemporaneo. Così, l’Italia contribuisce a rafforzare il tema centrale del film sul rapporto tra finzione e realtà.
Jay Kelly non punta su colpi di scena o costruzioni narrative complesse. È un film asciutto, essenziale, ma proprio per questo potente. Il suo impatto emotivo arriva con lentezza, come certi ricordi che sembrano innocui, ma poi si rivelano impossibili da scrollarsi di dosso. In fondo, Baumbach sembra suggerirci che non c’è più una vera distanza tra realtà e rappresentazione. Siamo diventati i personaggi delle nostre stesse vite, imprigionati in uno sguardo che abbiamo imparato dal cinema — e che ormai non possiamo più smettere di applicare al mondo.
In fondo, forse è proprio il cinema a trionfare, trasformando questa fusione tra realtà e finzione in qualcosa di più grande: un modo per rendere la vita — con tutte le sue contraddizioni e fragilità — più intensa, più emozionante, e degna di essere raccontata