“Il lato oscuro dei social network”, la vita ai tempi di Facebook, Instagram e TikTok: ne parliamo con l’autrice del libro, Serena Mazzini

“Il lato oscuro dei social network”, la vita ai tempi di Facebook, Instagram e TikTok: ne parliamo con l’autrice del libro, Serena Mazzini Photo Credit: “Il lato oscuro dei social network” di Serena Mazzini, Rizzoli
30 aprile 2025, ore 09:00
Un ecosistema in costante divenire, che nasconde pericoli e insidie tanto per gli adulti quanto per i più piccini: fondamentale saperle riconoscere per potersi “difendere”
Si rinnova l’appuntamento del mercoledì con gli approfondimenti sulle novità in arrivo dal panorama editoriale italiano. Un frangente che ci permette di andare dietro le quinte di alcuni dei libri di più recente approdo sugli scaffali delle librerie.
Qualcosa che, nelle ultime occasioni, ci ha permesso di saperne di più di “Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce” di Giuseppe Cesaro, oppure di “Sono fiero di te” di Maestro Gabriele, o ancora di “La verità quando arriva è una tempesta” di Flavia Gasperetti.
Un appuntamento che questa settimana ci porta a indagare qualcosa che rappresenta la nostra quotidianità: i social network. Un rapporto, quello tra utenza e piattaforme, che si è sviluppato con una velocità esponenziale portando a una sorta di “simbiosi” che, al giorno d’oggi, ci vede spesso a scrollare compulsivamente gli schermi dei dispositivi. Alla ricerca di non si sa bene cosa, però.
Le risposte arrivano da “Il lato oscuro dei social network” di Serena Mazzini, edito da Rizzoli. E proprio con lei siamo andati ad approfondire alcuni dei temi inseriti all’interno del libro.
IL LATO OSCURO DEI SOCIAL NETWORK, IL DINAMICO DIVENIRE DELLE PIATTAFORME
Ciao Serena, come di consueto partirei da un’infarinatura relativa al libro: di cosa parla “Il lato oscuro dei social network”?
“Il lato oscuro dei social network racconta cosa si nasconde dietro lo schermo dei nostri telefoni. Le piattaforme che ci avevano promesso di connettere le persone, di offrirci uno spazio di espressione e di informazione, si sono in realtà rivelate strumenti puramente commerciali, che utilizzano i nostri dati per manipolarci, sorvegliarci e sfruttare le nostre emozioni. Sono quindi dispositivi di controllo capaci di orientare le nostre opinioni, di influenzare decisioni politiche e plasmare i nostri desideri di consumo, amplificando la polarizzazione sociale.”
Nel libro tracci un po’ una cronistoria delle reti sociali, dagli albori alle derive del giorno d’oggi. Quanto è cambiata la loro infrastruttura e soprattutto quanto sono cambiate le loro stesse funzioni, nel tempo?
“All’origine di Internet c’era un’idea, o forse un’illusione: creare un ambiente sempre più ampio in cui gli utenti potessero comunicare tra loro, svolgendo un ruolo attivo nella produzione e nel consumo di contenuti Ogni piccolo progresso aveva lo scopo di fornire uno spazio di discussione sempre più ampio e stratificato, democratico e orizzontale.
Poi sono arrivati i social network. Con l'arrivo di Facebook, Internet smette di essere uno spazio relativamente libero e orizzontale e diventa una piattaforma centralizzata, guidata da un modello di business basato sulla raccolta dei nostri dati. Facebook introduce il concetto di profilo come identità fissa, verticale. Così la rete non è più un luogo di esplorazione anonima o creativa ma diventa un mercato di dati personali. Le persone hanno iniziato a costruire un'immagine pubblica di sé pensata per piacere agli altri, per ottenere visibilità, approvazione, e opportunità. È la stessa struttura sociale e tecnologica delle piattaforme che ci porta a costruire il nostro marchio: scegliamo un nome che ci identifichi, un’immagine del profilo che diventa il nostro logo e curiamo la nostra "vetrina", scegliendo cosa mostrare e cosa nascondere. Con l'arrivo di Instagram, questo meccanismo si rafforza e si estetizza: l’identità si costruisce sempre più attraverso l’immagine, il racconto visivo, la spettacolarizzazione della vita quotidiana.
Non conta più soltanto cosa si dice, ma come ci si presenta e quanto si riesce a piacere.TikTok, infine, rappresenta un'ulteriore mutazione: non esiste più nemmeno il legame diretto tra persone. L'algoritmo diventa il vero mediatore della comunicazione, guidando la nostra attenzione su contenuti selezionati in base alla reazione emotiva immediata, non sulla base delle relazioni sociali.
In questo sistema, l’obiettivo non è più interagire, ma catturare tempo e emozioni il più rapidamente possibile. In vent’anni, i social network hanno trasformato radicalmente il nostro modo di essere: hanno modellato comportamenti, percezioni, relazioni, dando vita a una mutazione antropologica silenziosa ma profonda, che oggi attraversa ogni aspetto della nostra vita sociale, culturale ed economica.”
SOCIAL NETWORK, PER UN USO CONSAPEVOLE A TUTTE LE ETÀ
Sostanzialmente quello dei social network è un mondo che, un po’ come ogni cosa, nasconde pericoli e insidie. Si lancia spesso il monito relativo all’uso che ne possono fare i giovani, ma nel libro si nota come l’uso sbagliato non abbia di fatto età che tenga…
“È vero: si tende spesso a parlare dei social network come di un pericolo solo per i giovani, ma questa è una visione parziale. Nel libro cerco di mostrare che l'uso distorto dei social riguarda tutti, indipendentemente dall’età: pensiamo ad esempio ai genitori che guadagnano dalla continua esposizione dei loro bambini. Non sono solo i ragazzi a essere vulnerabili: lo sono anche gli adulti, spesso inconsapevolmente. Il bisogno di visibilità, la ricerca di approvazione, la dipendenza dall'attenzione e dall'approvazione altrui, l'esposizione incontrollata della propria vita privata sono dinamiche che attraversano ogni generazione. I social network lavorano su pulsioni profonde — il desiderio di riconoscimento, di appartenenza, di affermazione — e questi bisogni non scompaiono con l’età, si trasformano. Il pericolo non sta tanto nello strumento in sé, ma nel modo in cui è progettato per sfruttare le nostre vulnerabilità, senza distinzione di età. Soprattutto TikTok, lavora costantemente su contenuti emotivamente ricattatori che ci tengono ancorati alla piattaforma, fornendoci una dieta emotiva che può diventare molto pericolosa per persone sensibili, come per chi ha appena attraversato un lutto o sta cercando conforto per una malattia. E questo è uno dei motivi per cui era importante scrivere questo libro: per smontare l’idea che basti ‘usare con attenzione’ o che basti 'educare i giovani'. Serve una consapevolezza trasversale e collettiva”
L’algoritmo regna sovrano, alterando ogni cosa: dall’immagine proiettata dai creator, al contenuto percepito dagli utenti che ne fruiscono. Esiste una strada “giusta” per portare sulle piattaforme un contenuto valido per entrambe le parti?
"Il problema è che, nel momento in cui tutto passa attraverso l'algoritmo, anche i contenuti migliori vengono filtrati da logiche che non controlliamo. Non conta più soltanto la qualità di quello che produciamo, ma quanto il nostro contenuto riesce a catturare attenzione immediata, a generare reazioni rapide, a inserirsi dentro dinamiche di visibilità sempre più aggressive. Detto questo, credo che esista ancora una strada possibile, anche se non semplice: resistere alla tentazione di adattarsi completamente all'algoritmo.
Significa creare contenuti che rispettino chi li guarda, che non puntino solo sull’emotività più facile o sulla provocazione, ma che provino a mantenere complessità, spessore, autenticità. Per riuscirci, dobbiamo iniziare ad abbracciare l’idea che esistono spazi più neutrali, più decentralizzati, dove poterci esprimere senza essere sottoposti alle rigide regole di visibilità che ci spingono a semplificarci e, in fondo, a deumanizzarci. Dobbiamo ricominciare a rivendicare una rete libera:
una rete che non sia solo il luogo del consumo rapido, ma un luogo di relazione, di conoscenza e di autonomia."
SOCIAL NETWORK, CAMBIARE SI PUÒ
Serve un cambio radicale in materia di social network? E soprattutto, si può? Considerando il grado di pervasività che ha a livello culturale…
“Sì, serve un cambio radicale. Non possiamo più limitarci a piccoli aggiustamenti o a richiami all’uso “consapevole” individuale, perché il problema è strutturale: riguarda come i social network sono progettati, come funzionano, e quali interessi servono.
La pervasività che hanno raggiunto a livello culturale rende il cambiamento difficile, ma non impossibile. È vero: oggi i social definiscono i modi in cui comunichiamo, lavoriamo, costruiamo identità e relazioni. Ma proprio per questo bisogna iniziare a immaginare piattaforme diverse: decentralizzate, non governate dalla logica della sorveglianza e del profitto ad ogni costo.
Non si tratta solo di inventare nuovi strumenti tecnologici, ma di ripensare l’intero modello: rimettere al centro le persone, la loro autonomia, la loro dignità. Questo richiede volontà politica, cultura critica e, soprattutto, la capacità di sottrarsi alla narrazione per cui "non esistono alternative". Cambiare è difficile, ma è molto più pericoloso pensare che sia inevitabile continuare così.”
Provocazione: sarebbe il caso di istituire nei programmi scolastici una materia che educhi all’uso consapevole degli strumenti digitali?
“Non sarebbe solo il caso: è una necessità urgente. Oggi i ragazzi crescono immersi in ambienti digitali complessi, governati da logiche che non sono neutre e che spesso lavorano contro la loro autonomia di pensiero. Limitarsi a dire 'usa internet con attenzione' non basta.
Serve costruire una vera alfabetizzazione critica: insegnare come funzionano le piattaforme, quali sono i meccanismi economici e psicologici che le reggono, come si manipola l'informazione, come si costruiscono le dinamiche di consenso. Non parliamo di tecnicismi o di regole di sicurezza online, ma di formare cittadini capaci di orientarsi in uno spazio pubblico digitale che oggi ha più peso della piazza reale. E questa alfabetizzazione non può riguardare solo i giovani.
Anche gli adulti devono essere formati: perché spesso sono proprio loro, senza rendersene conto, a perpetuare dinamiche di disinformazione, sovraesposizione e dipendenza emotiva dalle piattaforme. Non possiamo pensare di preparare al futuro una generazione lasciando indietro chi già oggi detiene ruoli di educazione, rappresentanza e decisione.
Educare al digitale non significa solo imparare a difendersi. Significa soprattutto imparare a progettare, immaginare, costruire strumenti diversi, più rispettosi e più democratici. Non possiamo prepararci al futuro restando analfabeti rispetto ai meccanismi che governano il mondo in cui viviamo.”