Gaza sotto assedio, 40 morti nei raid israeliani e nuove tensioni sul riconoscimento palestinese

Gaza sotto assedio, 40 morti nei raid israeliani e nuove tensioni sul riconoscimento palestinese

Gaza sotto assedio, 40 morti nei raid israeliani e nuove tensioni sul riconoscimento palestinese   Photo Credit: Ansa Foto/Abir Sultan


02 settembre 2025, ore 12:42

I bombardamenti di Israele causano decine di vittime, mentre Belgio e Francia aprono al riconoscimento della Palestina. Netanyahu diviso tra pressioni interne e Usa

NUOVI BOMBARDAMENTI A GAZA

Nelle ultime ore la situazione a Gaza ha conosciuto un nuovo drammatico peggioramento, mentre il conflitto continua a mietere vittime e a generare tensioni diplomatiche su scala internazionale. Le fonti mediche locali parlano di almeno quaranta morti in una sola giornata a seguito dei bombardamenti israeliani, che hanno colpito diverse aree urbane tra Gaza City e Deir el-Balah. Alcune delle vittime sarebbero civili che tentavano di raggiungere i convogli umanitari, mentre altre sarebbero rimaste intrappolate sotto le macerie delle abitazioni distrutte dai raid aerei. Il dramma della popolazione non si esaurisce però con i bombardamenti. Secondo le autorità sanitarie locali, sotto il controllo di Hamas, la crisi umanitaria continua ad aggravarsi. Malnutrizione e carenze alimentari hanno già provocato centinaia di morti, tra cui numerosi bambini. I dati diffusi parlano di 361 vittime per fame dall’inizio dell’assedio, di cui 130 minori. Queste informazioni non possono essere verificate in modo indipendente, dal momento che l’accesso a Gaza per giornalisti stranieri e israeliani resta interdetto dalle autorità di Gerusalemme.

IL FRONTE POLITICO ISRAELIANO E IL RICONOSCIMENTO DELLA PALESTINA DA PARTE DEL BELGIO

Sul fronte politico, il premier israeliano Benyamin Netanyahu si trova di fronte a un delicato nodo interno ed esterno. Da un lato, deve gestire le pressioni degli alleati di governo più radicali, che chiedono l’annessione integrale della Cisgiordania; dall’altro, è impegnato a mantenere un dialogo con gli Stati Uniti, dove le discussioni si concentrano su una “sovranità parziale” limitata alla Valle del Giordano. Questa soluzione, sostenuta dal suo consigliere Ron Dermer, ha già sollevato critiche da parte dei ministri ultranazionalisti, che la considerano insufficiente. Netanyahu, tuttavia, sembra intenzionato a evitare uno scontro diretto con Washington, anche a costo di scontentare parte della sua maggioranza. A complicare ulteriormente il quadro è il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di alcuni paesi europei. Dopo Francia e altri partner, anche il Belgio ha annunciato l’intenzione di votare a favore all’Assemblea Generale dell’Onu. La decisione è stata accolta con favore dal ministero degli Esteri palestinese, che ha definito la mossa “in linea con il diritto internazionale” e ha esortato gli altri Stati a compiere passi simili per fermare violenze, deportazioni e carestie nei Territori occupati. Dal fronte israeliano le reazioni sono state durissime. Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha accusato i governi europei di ingenuità e di cedere alla propaganda di Hamas, avvertendo che simili riconoscimenti rischiano di legittimare il terrorismo. “Il mondo libero dovrebbe invece unirsi per combattere chi semina violenza”, ha dichiarato, puntando il dito contro chi “premia il crimine anziché isolarlo”.

DONALD TRUMP TORNA A PARLARE DI MEDIO ORIENTE

Sul piano internazionale, anche gli Stati Uniti non nascondono una certa preoccupazione per l’andamento del conflitto. Il presidente Donald Trump, in un’intervista al "Daily Caller", ha osservato che la campagna militare in corso rischia di compromettere seriamente l’immagine di Israele a livello globale. Pur ribadendo il sostegno al piano di conquista di Gaza City, Trump ha ammonito che “non basta vincere sul campo di battaglia se si perde la guerra delle percezioni”. Ha inoltre ricordato come un tempo Israele potesse contare su un’influenza quasi totale al Congresso americano, una forza di lobbying che, a suo giudizio, oggi non esiste più. Le bombe continuano a cadere, la diplomazia internazionale fatica a trovare spazi di mediazione e la popolazione di Gaza paga il prezzo più alto, stretta tra la minaccia costante dei raid e la morsa della fame.


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