“Figlie Selvagge”, tra mito e realtà nella Benevento della janare: i dietro le quinte del libro con l’autrice, Cinzia Giorgio

“Figlie Selvagge”, tra mito e realtà nella Benevento della janare: i dietro le quinte del libro con l’autrice, Cinzia Giorgio
26 luglio 2025, ore 09:00
Un tuffo nel passato che mette i lettori a confronto con una cruda realtà storica, che ha identificato a lungo il capoluogo campano come “città delle streghe”
Un nuovo fine settimana è arrivato sulle pagine online di RTL 102.5, e questo per gli appassionati di libri vuol dire una sola cosa - con sfumature diverse – e cioè nuove letture.
Nel weekend sono diverse le occasioni in cui i diversi portali online del gruppo si dedicano proprio all’editoria libraria. Lo facciamo proprio qui con i libri più interessanti della settimana e lo facciamo anche sulle pagine di Radio Zeta, con letture dedicate a un pubblico di ogni età.
In aggiunta c’è poi anche la parentesi in cui ingrandiamo ulteriormente lo zoom su alcuni libri, grazie a chiacchierate mirate con autori e autrici che a quei testi ci hanno lavorato con costanza e impegno. Qualcosa che nelle scorse settimane ci ha permesso di saperne di più di volumi come “11 miglia”, “Raccontami la notte in cui sono nato” e “1999. Un attimo prima del mondo com’è”.
Qualcosa che accade anche quest’oggi con “Figlie Selvagge”, il libro di Cinzia Giorgio pubblicato da Rizzoli. E proprio con l’autrice siamo andati a scavare a fondo delle storie e dei personaggi dall’indiscutibile fascino che trovano il loro posto tra le pieghe della storia e tra le pagine del racconto.
FIGLIE SELVAGGE, LE STREGHE DI BENEVENTO DA UNA NUOVA PROSPETTIVA
Ciao Cinzia, a te l'onore delle presentazioni: cosa troviamo in "Figlie Selvagge"?
“Ciao Dario, intanto grazie per l’invito e per questa meravigliosa opportunità che mi dai di raccontare le mie Figlie Selvagge. È una storia ambientata nella Benevento del 1630 dove alcune donne subivano ingiustizie, soprusi, ma dove c’erano anche sorellanza, sapienza e speranza che univano generazioni di donne e di uomini non conformi, ribelli. Una storia che volevo raccontare da anni, perché la vivevo nella mia carne, nel mio sangue. Io sono nata nella terra magica dell’antica Venusia, oggi Venosa, in Lucania. Benevento non è lontana. Sono due città che si compenetrano: a Benevento era adorata Iside, da noi Venere, tanto per cominciare. Le fiabe, i riti, le nenie, i rituali che si trovano nel romanzo sono pressoché gli stessi che ho respirato, ascoltato e amato io stessa fin da bambina. Il Regno di Napoli del Seicento aveva un sostrato culturale eterogeneo, ma anche simile a quello di oggi per certi versi.”
Possiamo dire che sia un romanzo fortemente incentrato sul "Girl Power"?
“Certo, ma non solo “girl”: le mie protagoniste intrecciano le loro esistenze con altri ribelli, con altri diversi ai quali la società aveva apposto uno stigma.”
C'è la componente finzionale, con le narrazioni che viaggiano sulla rotta tracciata dalla tua inventiva, ma c'è anche tanta (troppa) realtà storica tra le pieghe della finzione narrativa, che viene esaltata dal coinvolgimento di personaggi realmente esistiti. Quanto hai sentito il peso della responsabilità di narrare una storia che, al suo interno, raccoglie le storie di tante donne "sfortunatamente audaci" che hanno provato, in quei secoli bui, a emanciparsi e a scrivere il proprio destino fuori dagli schemi classici?
“Da storica delle donne mi sono spesso interrogata sulle ribelli, su tutte quelle donne che tu giustamente chiami “sfortunatamente audaci”. Perché a un certo punto venivano chiamate “streghe”? In particolare, nel corso della mia carriera accademica, mi sono concentrata sulle italiane e ho avuto modo di visionare gli atti dei processi a loro carico e tanti altri documenti che le riguardavano. Sono arrivata dunque, non per caso ma per volontà, anche alla storia del Sannio, e mi sono chiesta chi fossero state le famose janare. Ho scoperto che spesso venivano confuse con le guaritrici, ovvero le mediche: donne viste con sospetto per le loro notevoli abilità ostetriche, ma anche capaci di curare con le erbe. Vivevano spesso ai confini dei centri abitati o tra le mura dei conventi. Le “Figlie selvagge” di cui parlo nel romanzo erano donne libere e vicine alla natura, diverse, sagge e piene di talento da essere ritenute “streghe”. Ho voluto raccontare il mondo in cui vivevano, in cosa si prodigavano. La storia ufficiale, come ancora oggi capita, ha fatto loro un torto.”
RACCONTO DI FANTASIA E REALTÀ VIAGGIANO A BRACCETTO
Quanto lavoro di ricerca ti è stato necessario per dare al libro la giusta struttura storica che reggesse la narrazione?
“Mi sono documentata e ho studiato a fondo e a lungo negli archivi di Benevento, per restituire ai lettori un racconto veritiero e verosimile, che mi ha appassionato e che è fortemente legato alla leggenda e al mito non solo delle streghe, ma di tutte le donne libere. In Figlie Selvagge parlo soprattutto di sorellanza, quella vera, documentata, quella delle donne che aiutavano e si aiutavano. Quella delle donne che vivevano in un contesto ingiusto, impari, quelle donne che hanno fatto di necessità virtù, unendosi e formando una grande famiglia. Questa scoperta mi ha dato una soddisfazione immensa.”
Purtroppo, delle ingiustizie della storia ce ne si rende conto soltanto a distanza di anni, quando cambiano le prospettive e si ha una visione più nitida degli scenari. Ad oggi, guardando la realtà che ci circonda, riusciresti a individuare una situazione analoga, che ci permetta di capire come è perché fenomeni come quelli della Benevento delle janare si siano verificati?
“È una domanda difficilissima, perché ogni giorno, lo vediamo anche sui social, come per una sete atavica di vendetta, di rivalsa e di paura del confronto, molta gente cerca un capro espiatorio, un nemico da abbattere, anche quando non ce n’è uno e, ancora più grave, quando ne ce n’è alcun bisogno. Nel Seicento erano le streghe, le diverse, ma anche i disabili, gli omosessuali, gli emarginati. Ti sembra che oggi sia davvero cambiato qualcosa? Chi è diverso da ciò che si ritiene per convenzione “normale” fa paura, perché ci mette in condizione di dover riflettere, di dover capire l’altro.”
Dopo un lavoro intenso come quello di "Figlie Selvagge" hai già altri progetti in vista per il prossimo futuro?
“Vorrei parlare di tutte le donne che nella storia non hanno avuto giustizia, ma non posso, per ovvie ragioni. Ho però in mente un paio di meravigliose creature di cui vorrei tanto parlare…”