“Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce”, riflessioni di vita vissuta: andiamo tra le pagine del libro con l’autore, Giuseppe Cesaro

“Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce”, riflessioni di vita vissuta: andiamo tra le pagine del libro con l’autore, Giuseppe Cesaro Photo Credit: “Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce” di Giuseppe Cesaro, edito da La nave di Teseo
23 aprile 2025, ore 09:00
Eventi che lasciano un segno profondo e la loro elaborazione nel tempo: un memoir dal forte impatto emotivo, che affronta alcune tra le tematiche esistenziali più indagate
Il mercoledì è il giorno della settimana in cui andiamo dietro le quinte dei libri di recente pubblicazione. Una parentesi in cui è possibile scoprire i processi creativi degli autori, scandagliando come sono avvenute le diverse scelte che hanno portato poi sugli scaffali i libri così come abbiamo la possibilità di leggerli.
Un frangente che, nelle ultime occasioni, ci ha permesso di saperne di più di “Sono fiero di te” di Maestro Gabriele, oppure di “La verità quando arriva è una tempesta” di Flavia Gasperetti, o ancora de “Il giudice dei dannati” di Daniele Soffiati.
Sotto la lente, questa settimana, finisce “Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce” di Giuseppe Cesaro, edito da La nave di Teseo. Un racconto profondissimo e dagli spunti di riflessione importanti. Senza anticipare troppo, abbiamo chiesto all’autore di introdurci alla narrativa contenuta tra le pagine del suo libro.
“FATICO A RICORDARE IL TUO VISO. E, ANCORA DI PIÙ, LA TUA VOCE”: UN VIAGGIO TRA I RICORDI, SPESSO DOLOROSI
Ciao Giuseppe, partirei dalle basi e, come di consueto, ti cedo la parola per raccontare di cosa parla "Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce".
“Allora, guarda, questo è un testo al 100% autobiografico: una sorta di lettera aperta a mia madre, a quasi 50 anni dalla sua morte. Lei è morta nel ‘78, quando io avevo 17 anni, ma era malata già da 3-4 anni. E quindi, questo testo contiene una serie di riflessioni che porto dentro di me da moltissimo tempo, praticamente da allora e che, ovviamente, nel corso del tempo, si sono modificate, approfondite, chiarite, arricchite.
Volevo che, idealmente, con questo dialogo a distanza, lei sapesse innanzitutto come avevo vissuto quella sua vicenda. E poi ho anche cercato di raccontarle alcune delle cose più importanti tra quelle che sono successe dopo; cose che lei, inevitabilmente, ha perso. Queste riflessioni, divise in capitoletti brevissimi, in periodi altrettanto brevi e molto punteggiati, sono il tentativo di mettere a fuoco momenti, emozioni e riflessioni che si sono rincorse nel corso di questi 47 anni, da quel momento.
Ed è allo stesso tempo l'occasione per una riflessione che io spero non banale, ma utile per chi dovesse leggere, su due elementi molto importanti che caratterizzano la vita di tutti noi, con i quali tutti noi, prima o poi, siamo chiamati ad avere a che fare. Elementi che spesso, invece, cerchiamo di evitare per non confrontarci con essi: la morte e il dolore. Secondo me, due degli ingredienti più importanti della nostra vita. Per questo, credo che dovremmo cercare almeno di capire cosa sono in realtà e se e in che modo possono esserci utili.
Tutto questo, senza retorica, senza buonismo, senza speculare sui sentimenti, sulle emozioni. È un libro nudo e crudo, nel quale ho cercato di andare alla radice delle cose, senza artifici letterari o narrativi, sotterfugi estetici, retorica, eccetera. Ho cercato di scandagliare me stesso dentro, tirare fuori quello che vedevo e metterlo sul tavolo. Saranno poi gli altri a dire se quello che ho visto, messo sul tavolo, ha un senso, un valore, una profondità oppure no.”
Gli estratti di vita di cui parli fanno riferimento all'età dell'adolescenza, mentre le riflessioni sono maturate col tempo e hanno avuto modo di sedimentare, assumendo magari sfumature che solo la visione d'insieme, guardando al passato, permette di avere. Quanto è cambiata la tua visione nel corso del tempo?
“Beh, è cambiato tantissimo naturalmente. Il cambiamento è, forse, la “costante più costante” dell'esistenza, anche perché, se non ci fosse, praticamente la vita non sarebbe vita, sarebbe immobile, sarebbe minerale e non umana. Quindi cambiare non solo è inevitabile, ma è anche fondamentale. Nessuno di noi è quello che era il giorno prima e nessuno di noi è quello che sarà il giorno dopo.
Detto questo, sì, gli eventi di cui parlo fanno riferimento all'età compresa, diciamo, tra i nove e i vent'anni. Diciamo che tutto quello che mi poteva accadere è accaduto nei primi vent'anni. E questo, per ragioni facilmente comprensibili anche per chi ha una minore sensibilità, ha determinato tutto quello che è venuto dopo. Di fatto, il futuro non esiste perché, nel momento stesso nel quale lo incontriamo, diventa presente. Il presente dura un istante, quindi, alla fine, l'unica stagione, l'unico tempo che non passa è il passato, perché tutto diventa passato.
E questo passato è un macigno che ci portiamo dietro, al quale facciamo costantemente riferimento per tutto il resto dell'esistenza. Anche perché sono i primi anni, non quelli centrali o gli ultimi, quelli nei quali ci formiamo. Quindi tutti gli episodi di grande impatto che avvengono tra infanzia, preadolescenza e adolescenza sono quelli con i quali poi faremo il conto per tutta la vita. E lì si tratta di capire se riusciamo a tenere botta, per dirlo con un'espressione un po' così, gergale, se riusciamo o no a superarli. Ci sono ferite che, secondo me, non si rimarginano mai. Ci si abitua a indossarle, a guardarle nello specchio oppure a passarci sopra i polpastrelli, per rileggerle come in una sorta di braille della nostra storia.
Quando ami qualcuno vorresti che questo amore durasse per sempre, quando hai una bella lettura vorresti che il libro non finisse mai, un bel disco vorresti che non finisse mai, una bella vacanza che non finisse mai, eccetera. Noi abbiamo la malattia dell'infinito e viviamo costantemente nel finito. Ed è questo contrasto tra l'infinito che desideriamo, agogniamo, sogniamo, vogliamo, bramiamo, e il finito nel quale siamo costretti a vivere, il cuore del problema. Tra la vita che vorremmo, eterna, tra virgolette, e la sua finitezza, la sua caducità e la nostra consapevolezza del fatto che tutte le cose sono destinate a passare, c’è uno iato incolmabile ed è nell’abisso di questo crepaccio che noi viviamo.
Aggiungo che, non so se ci è fatto caso, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, le canzoni veramente belle sono canzoni tristi. E c'è una ragione pratica per questo: il fatto che la felicità dura meno del tempo necessario per scrivere una canzone. Questo te lo dico per esperienza diretta e personale. E quindi quando hai tra le mani quel minuscolo frammento di felicità, certo non ti metti alla chitarra o al pianoforte per scrivere un pezzo. Lo fai quando sei infelice o quando ti senti infelice. E quindi, siccome per scrivere un racconto, un romanzo, una sceneggiatura, una poesia, ci vuole del tempo – di solito più del tempo che serve a scrivere una canzone - è evidente che è qualcosa che tu non ti metti a fare quando sei felice."
LA MUSICA, UN FULCRO IMPORTANTE
Restando sul tema musica, ti faccio una domanda di rito: se il tuo libro fosse una canzone, quale sarebbe?
“Allora guarda, per quanto riguarda la canzone potrebbe essere “Mother” di John Lennon, almeno per il fatto che c'è questa frase di apertura che dice “Mother you had me but I never had you”, tu hai avuto me ma io non ho mai avuto te. che, in un certo senso, rispecchia quella situazione, uscendo alle sette e mezzo del mattino da casa per andare a scuola e tornando dopo scuola, doposcuola e pallacanestro intorno alle otto quasi di sera, finiva che non ci si vedesse quasi mai. Ci si vedeva, limitatamente, nei fine settimana, anche perché anche mio padre e mia madre avevano diritto al loro tempo, quindi non è che potessimo assorbire in tutto e per tutto il nostro bisogno di loro.
Un altro brano potrebbe essere “Let it be” anche perché lì c'è questa Mother Mary che era la mamma di Paul, che lui ha perso quando aveva quattordici anni… quindi, per quello che riguarda il tema potrebbe essere questo. In realtà una canzone esiste, l'ho scritta io nell'81, e il titolo riprende un celeberrimo verso dei Queen. Si chiama “Anyway the Wind Blows”, e l’ho scritta quando ho cominciato a fare i conti con l'impossibilità di confrontarmi con quella morte.”
Il tuo è un lavoro che ti ha portato a confronto con molte forme artistiche, non ultima proprio la musica. Quanto ha contribuito la musica nel tuo percorso ( personale e professionale)?
“La musica è stata fondamentale non solo perché, come hai letto, era la mia vocazione più profonda. Nasce molto prima della scrittura, molto prima della lettura. Ho cominciato a strimpellare la chitarra a 16 anni, una Eko 12 corde che mi aveva regalato la mia mamma, che qualche mese fa ho fatto sistemare. Lavorando a questo memoir, a questo romanzo autobiografico, mi sembrava bello ritrovarla. In fondo, è l'unica cosa che mi è rimasta di lei, non ho neanche delle fotografie. Ma la musica era fondamentale anche perché era l'unico universo nel quale io potessi rifugiarmi.”
Sei un fermento di idee, e le pubblicazioni lo dimostrano. Hai già altri lavori in cantiere di cui possiamo anticipare qualcosa?
“No, non ho al momento altri progetti in cantiere. Credo anzi che questo sarà il mio ultimo libro, almeno con la mia firma. Considera che negli ultimi vent'anni ho pubblicato una cinquantina di titoli per i principali editori nazionali, ma romanzi a mia firma ce ne sono tre, tutti pubblicati da La Nave di Teseo: “Indifesa”, “31 aprile – il Male non muore mai” e questo "Fatico a ricordare il tuo viso. E, ancora di più, la tua voce". E credo che questo chiuderà il cerchio.”