Da quando ti ho trovato, incontri che ti cambiano la vita: Don Cosimo Schena ci porta a scoprire i retroscena del suo nuovo libro
Da quando ti ho trovato, incontri che ti cambiano la vita: Don Cosimo Schena ci porta a scoprire i retroscena del suo nuovo libro Photo Credit: "Da quando ti ho trovato" di Don Cosimo Schena e Tempesta, Piemme
17 dicembre 2025, ore 09:00
Un viaggio nei sentimenti e nella spiritualità, con due narratori in grado di offrire prospettive e punti di vista molto differenti e aprire a spunti di riflessione che colpiscono nel segno
Il nostro viaggio nel mondo dei libri da leggere, che sia attraverso la rubrica domenicale o attraverso gli approfondimenti con gli autori e le autrici dei volumi, è una traversata in grado di suscitare tante emozioni diverse. Ci sono le storie che tengono con incollati alle pagine e lasciano con il fiato sospeso. Ci sono misteri da risolvere. E poi ci sono racconti che scaldano il cuore. E quale periodo migliore per concedersi una coccola letteraria se non quello della marcia d’avvicinamento al Natale?
E proprio un libro che parla al cuore quello che arriva dalla penna di Don Cosimo Schena e Tempesta, autori a due mani e due zampe di “Da quando ti ho trovato”, edito da Piemme. Una storia che parla attraverso di lui, per quanto non sia l’unico narratore “coinvolto” in questo lavoro. È la loro storia, di Don Cosimo e di Tempesta, la cagnolina trovatella che diventa parte importante del racconto grazie al suo stesso punto di vista sul vissuto quotidiano. Zero (ulteriori) spoiler, andiamo a scoprire il volume con il suo autore.
DA QUANDO TI HO TROVATO, INCONTRI CASUALI CHE NON AVVENGONO MAI DAVVERO PER CASO
Ciao Don Cosimo, come di consueto cedo la parola per le presentazioni di rito. Cosa troviamo in “Da quando ti ho trovato”?
"In "Da quando ti ho trovato" troviamo prima di tutto un incontro. E gli incontri veri, quelli che non fai per caso, non sono mai solo “eventi”: sono svolte. È un libro che nasce dalla vita quotidiana, dalla parrocchia, dalle strade e dalle stanze dove la gente arriva con il cuore a pezzi, con il fiato corto, con la speranza in riserva. Dentro ci sono episodi concreti, piccoli, apparentemente semplici — eppure capaci di accendere domande grandi: che cosa mi salva quando non mi salvo da solo? Chi mi resta accanto quando tutto crolla? Tempesta in questo libro non è un “tema”, non è un pretesto. È una presenza. E le presenze, quando sono vere, ti fanno da specchio: ti mostrano chi sei, dove ti sei indurito, dove ti sei spento, dove invece puoi ancora rinascere. C’è tanto amore, certo, ma non un amore “da cartolina”: un amore che si sporca le mani, che sopporta, che aspetta, che torna. E poi c’è una cosa che attraversa tutto: la fede, ma detta con lingua umana. Non un discorso “da palco”, bensì un filo che passa dentro la vita: la sensazione, quasi fisica, che Dio lavori nel silenzio, mentre noi facciamo rumore. Che Dio ti trovi proprio mentre tu pensi di esserti perso."
Come mai la scelta di portare la vostra esperienza all’interno di un libro?
"Perché sentivo che certe storie non potevano restare solo “un contenuto”. I social sono potentissimi: arrivano ovunque, parlano a tantissimi, fanno compagnia. Ma hanno un limite: scorrono. E a volte, invece, una persona non ha bisogno di “qualcosa che scorre”, ma di qualcosa che resta, che puoi riprendere in mano quando ti torna il buio, quando la notte si allunga, quando ti senti solo. Il libro è un luogo diverso: è più lento, più intimo, più vero. È come sedersi accanto a qualcuno, senza fretta, e dirgli: “Ti racconto una cosa che mi ha salvato un pezzo di cuore. Magari salva anche te”. E c’è un motivo ancora più profondo: io ho la grazia — e la responsabilità — di incontrare tante vite, tante ferite, tante rinascite. Scrivere è custodire. Custodire ciò che altrimenti il tempo si mangia. Un libro è una specie di “arca”: ci metti dentro il bene, la fatica, le lacrime, e lo affidi a chi leggerà. Perché magari, proprio quella pagina, in un certo giorno, diventa una mano sulla spalla."
Anche sotto il profilo della narrazione c’è una scelta molto precisa: quella di dar voce alla co-protagonista, Tempesta, permettendo a lei stessa di raccontare i fatti. È stato facile (o, nel caso, complesso) “farla parlare”?
"È stata una scelta precisa e, in un certo senso, coraggiosa. Perché non volevo “farla parlare” in modo artificiale. Volevo che la sua voce fosse un altro sguardo sul mondo. Un modo diverso di attraversare la realtà, senza sovrastrutture, senza maschere, senza quel continuo bisogno di spiegare tutto che noi umani abbiamo. È stato complesso perché Tempesta non ragiona come noi. Tempesta sente. Fiuta. Intuisce. Vive il presente. E allora, per scrivere con la sua voce, ho dovuto fare una cosa che spesso non facciamo più: rallentare. Guardare i dettagli. Dare importanza a un gesto, a un rumore, a un silenzio. E ti confesso una cosa: mentre scrivevo, mi sono accorto che Tempesta era una specie di maestra. Mi costringeva a togliere il superfluo. A essere essenziale. A dire la verità senza teatralità. In fondo, la sua voce mi ricordava ogni volta che la bellezza della vita non sta nel controllo, ma nella presenza. E questa, per me, è già una predica."
Ecco, a tal proposito, i racconti e le esperienze portate tra le pagine aprono a spunti di riflessione basati sul Vangelo. Mi sento di lanciarti una provocazione: in un momento storico complesso come quello che stiamo attraversando, avvicinarsi agli animali può essere un modo per ricongiungersi maggiormente con la spiritualità?
"Sì, può esserlo. E non perché gli animali “sostituiscano” Dio o la fede — assolutamente no — ma perché possono riaprire in noi un canale che si è ostruito: la capacità di sentire. Viviamo un tempo in cui siamo bombardati, stanchi, nervosi, spesso cinici. Siamo pieni di parole, ma poveri di ascolto. Gli animali non ti chiedono discorsi: ti chiedono verità. Ti chiedono presenza. E questa cosa, se la lasci entrare, ti educa. Avvicinarsi agli animali può diventare una scuola di spiritualità perché ti riporta alla gratuità: loro non ti amano perché fai bella figura, non ti premiano perché “meriti”. Ti amano perché ci sei. E quando un essere vivente ti insegna la fedeltà, ti sta anche ricordando qualcosa del Vangelo: che l’amore vero non è teoria, è “restare”. E poi c’è un’altra cosa: la creazione. Gli animali ti riconsegnano lo stupore. E lo stupore è spesso la porta della preghiera. Quando torni a stupirti, torni anche a ringraziare. E quando ringrazi, ti accorgi che Dio non è lontano: è già lì, nel quotidiano, a fare casa dentro le cose semplici."
I SOCIAL COME VEICOLO DI MESSAGGI, MA ATTENZIONE A NON FARSI SNATURARE
Sei molto attivo sul fronte dei social, uno strumento formidabile per comunicare a tantissime persone a distanza al giorno d’oggi. Quanto impatta su di te questo medium, in termini di comunicazione, e quanto porti invece nella vita reale dalla tua esperienza digitale?
"Impatta tanto. Perché i social sono una piazza enorme, ma sono anche un luogo dove devi stare attento: rischi di vivere sempre “in vetrina”, sempre in prestazione, sempre in risposta. È un lavoro emotivo, prima ancora che comunicativo. E se non stai con i piedi per terra, rischi di confondere la missione con la performance. Però io li considero una possibilità meravigliosa: raggiungo persone che non entrerebbero mai in chiesa, che non chiederebbero mai un aiuto, che non oserebbero dire “sto male”. E invece, dietro uno schermo, a volte si lasciano raggiungere. Quello che porto nella vita reale, dalla vita digitale, è una consapevolezza che mi pesa e mi illumina insieme: la sofferenza è ovunque. C’è gente che sorride online e piange la notte. C’è gente che ti scrive “grazie” e dentro sta lottando per restare in piedi. Questo mi rende più concreto, più misericordioso, più attento. Mi ricorda che non devo “fare contenuti”, ma fare compagnia. E nella vita reale, in parrocchia, tento di essere la stessa persona: uno che ascolta, uno che non giudica, uno che prova a portare Dio dove sembra non arrivare più."
Nuovi progetti in vista per te (tra digitale, cartaceo e spirituale)?
"Sì. E qui dico una cosa con chiarezza: il continuo di questo libro deve uscire, perché la storia, per come è nata, si chiude con Balou. Non è un dettaglio, è la conclusione di un cammino. E non voglio che sia “io” a raccontare tutto: voglio che sia lui. Il seguito sarà così: Balou racconterà la sua vita con me e la mia con lui. Sarà una voce diversa da Tempesta, un’altra sensibilità, un’altra forza, un altro modo di proteggere e di amare. E dentro quella storia ci sarà anche la mia: perché, alla fine, noi non cresciamo mai da soli. Cresciamo dentro le relazioni che Dio ci dona. E poi c’è la musica. È uscito il mio nuovo singolo, “Resta qui è Natale”. Non è solo una canzone per “fare atmosfera”: è un messaggio. È un invito a restare quando il cuore vorrebbe scappare, quando ti senti svuotato, quando la solitudine ti mangia. È la voce che ti dice: non mollare adesso. Ecco perché per me digitale, cartaceo e spirituale sono un’unica cosa. Sono modi diversi per dire la stessa parola, la più semplice e la più difficile: “Non scappare. Resta qui… con Dio. Perché Dio resta con te, anche quando tu non ce la fai.”"



