
Capotreno stalkerizzata da un passegero a cui aveva chiesto il titolo di viaggio, nella tratta da Cesena a Imola Photo Credit: agenzia ipa
16 aprile 2025, ore 20:00
Il protagonista della vicenda è un cingalese di 30 anni, che già aveva creato problemi al personale, l'uomo era arrivato a procurarsi il numero di telefono della capotreno
Lesa maestà del viaggiatore, una vicenda singolare con un pendolare che si è sentito offeso dalle richieste di esibire il biglietto fatte da una capotreno, che ha chiesto il titolo di viaggio, come deve fare tutti i giorni con i passeggeri presenti sul convoglio quando è di turno. Ma per quella che appariva come una semplice richiesta, tra l’altro fatta a un utente in possesso di regolare abbonamento, una capotreno cesenate si è trovata in un turbine fatto di insulti e di necessità di modificare il suo stile di vita perché impaurita da un pendolare che ha iniziato a perseguitarla e a insultarla a cadenza regolare.
Le accuse
Deve rispondere di stalking e ingiurie un soglianese 30enne, J.S. (difeso dall’avvocato Mario Montuschi), comparso nell’aula del giudice Marco De Leva dove la Procura (pm Massimo Maggiori) è impegnata “a tutela” della dipendente di Trenitalia, difesa dagli avvocati Luca ed Elisa Arginelli. Le vicende finite a processo hanno avuto inizio nel 2023. Quando per la prima volta, impegnata nella tratta di competenza che è quella che corre tra Rimini e Bologna, la donna ha incontrato tra i viaggiatori il 30enne. È stata lei a descrivere in aula l’accaduto: «Come faccio sempre, perché è mio dovere, ho chiesto a quella persona che non avevo mai visto prima in vita mia, il titolo di viaggio. La risposta è stata una serie di insulti. Ripetuti mentre si spostava lungo i corridoi del treno. Per una decina di minuti fino ad arrivare alla stazione successiva mi ha insultato. Quando ho preso il telefono decisa a chiamare la polizia, lui ha tirato fuori il titolo di viaggio. Un regolarissimo e valido abbonamento. Per me, malgrado gli insulti incomprensibilmente ricevuti, la vicenda finiva lì».
Ma per il bengalese non era finita
Ma era solo l’inizio del calvario personale come la donna ha poi dettagliato. Col passare dei mesi e più volte ogni mese, il 30enne, che all’epoca saliva sul treno a Cesena per andare a lavorare a Imola, incontrava la capotreno. «Ed ogni volta ripartiva la ridda di insulti ed ingiurie. Che pian piano salivano di livello. Nel senso che mi accusava di aver raccontato quei fatti ad altri miei colleghi e di aver coinvolto agenti di polizia, descrivendo ciò che mi accadeva ad ogni viaggio, ossia ricevere insulti da lui». La donna si confidava con le colleghe e i colleghi, alcuni dei quali avevano già sentito raccontare degli insulti e dei modi irascibili di quel viaggiatore. La misura è diventata colma quando l’uomo ha dato prova di sapere anche nome e cognome della capotreno: «Durante un viaggio mi è venuta a cercare, malgrado fossi in testa al convoglio e non lo avessi incrociato. Ha tentato di impedirmi di lavorare, quando dovevo scendere dal treno per poi farlo ripartire». Millantava di avere anche lui la chiave tripla che serve per bloccare e sbloccare le porte del convoglio. «In quel frangente mi sono dovuta far aiutare da un mio collega e ho deciso di denunciare tutti gli episodi, perché ha detto che sapeva come mi chiamavo, dove parcheggiassi la mia auto a Cesena prima di iniziare a lavorare e che non appena avesse scoperto dove vivevo sarebbe venuto a casa per picchiarmi».
Lì è scattato il codice rosso
Minacce che sono state dettagliate nelle querele. E che per J.S. hanno fatto scattare provvedimenti del giudice in “codice rosso”. Prima un divieto di avvicinamento. Poi, durante l’estate 2024, anche il braccialetto elettronico a sigillare il fatto che non dovesse più avvicinare la capotreno. «Da quel giorno non mi ha più rivolto la parola. Anzi: essendo io andata in ferie d’estate non l’ho più visto. Poi però a settembre rientrata, il braccialetto elettronico glielo avevano revocato - ha detto la donna in aula - e lui ha ricominciato a cadenza regolare a cercarmi sul treno. Per “farsi vedere”, avvicinandosi, ma senza più rivolgermi la parola».Tanto basta per decidere di farsi accompagnate al lavoro dal marito e di non posteggiare più l’auto nello stesso posto. Ma anche per rinunciare a utilizzare il treno durante la sua vita privata: «A Trenitalia ho spiegato come lui conoscesse il mio nome. Mi minacciasse ed insultasse. Una paura che mi porto ancora dietro». Anche perché a pochi giorni dall’inizio del processo, come specificato in una querela depositata al giudice in aula dall’avvocato Luca Arginelli, il 30enne avrebbe inviato (e poi cancellato) un messaggio whatsapp alla capotreno. Tanto per farle capire che aveva anche ottenuto, nel frattempo, il suo numero di telefono. La Polfer di Forlì ha testimoniato come in passato il 30enne sia stato anche denunciato per porto di un cutter durante i viaggi in treno e di come altro personale di Trenitalia si lamentasse del suo comportamento o durante gli spostamenti da pendolare. Nella prossima udienza verranno ascoltate ulteriori testimonianze. Poi a maggio ci saranno le conclusioni delle parti e la sentenza.